TIROCINIO E APPRENDISTATO DUALE

TIROCINIO E APPRENDISTATO DUALE

Come uscire dal ginepraio normativo

Nel mondo del lavoro si respira ormai da tempo un clima di generalizzata e diffusa incertezza, soltanto da ultimo aggravata dai problemi del rincaro energetico e dell’aumento dei costi delle materie prime.
Di questo passo, il primo trimestre rischia di chiudersi con una crescita vicina allo zero.
Secondo i dati emergenti dagli ultimi indici Istat, Inps e da quelli previsionali di Unioncamere, a gennaio l’occupazione è calata di 7mila unità (in particolare tra le donne e nella fascia di età compresa tra i 25 ed i 34), e gli inattivi, in un solo mese, sono saliti di 74mila unità.

Eppure, nonostante spie tanto allarmanti e con una prospettiva futura tutt’altro che rassicurante, pare non esserci ancora una reale e diffusa consapevolezza del problema.
Si fa fatica a interviene sui tanti vincoli imposti alle imprese in punto di nuove assunzioni e, tra nuove norme già approvate e progetti di legge ancora al varo, pare addirittura che ci si avvii verso un’ulteriore complicazione del piano normativo.
Le regole sulle somministrazioni a tempo indeterminato rappresentano già un vero e proprio ginepraio; tantissime le contraddizioni.

Si pensi anche alle strette sui tirocini, un sistema da rivedere radicalmente.
Da un lato la manovra del 2022 ha previsto un limite per i tirocini extracurriculari, limitandoli ai soli soggetti con difficoltà di inclusione sociale; dall’altro, le proposte di legge sui tirocini curriculari dispongono la corresponsione al tirocinante di una congrua indennità di partecipazione, al fine di contrastare gli abusi. Di fatto, però, i tirocini sono gli stessi che gli studenti devono portare a compimento per finire il loro percorso formativo a scuola, all’Università, negli Its. Questo impone di trovare imprese pronte ad accoglierli, assumendosi il rischio e la responsabilità della loro presenza in azienda.
Tuttavia, invece di incentivare le aziende a fare questa scelta, le proposte di legge avanzate fino ad ora, prevedono di retribuirli fino a 800,00 euro, ovvero con un rimborso spese.
Questo sarebbe un caso unico in tutto lo scenario internazionale, che porterebbe con sé la conseguenza fisiologica di allontanare ancor di più Scuola e mondo del lavoro.

Sulla stessa scia le iniziative sull’apprendistato duale (per intendersi, quello teso ad acquisire un titolo di studio mentre si presta anche un’attività lavorativa). Se è vero che la manovra 2022 ha previsto per quest’anno uno sgravio al 100% per i primi tre anni (limitato alle imprese sotto i nove dipendenti), è altrettanto vero che tutta la parte burocratica, dalla formazione agli adempimenti, non ha conosciuto alcuna correzione, ragione per cui l’istituto allo stato resta minimale e poco adoperato dalle aziende.

Sembra che dagli errori del passato non si riesca mai a imparare a sufficienza.

Ancora, nel 2012, in seguito a una grave crisi economica, con la legge Fornero si inasprirono i rapporti di lavoro flessibili, con la conseguente esclusione dal mercato del lavoro di collaboratori e partite Iva. Successivamente, nel 2018, il decreto Dignità contribuì ulteriormente a frenare la corsa ai contratti a termine, penalizzando una frangia di lavoratori, ai quali il contratto non venne più rinnovato. Fino a giungere al periodo pandemico che, col blocco dei licenziamenti, CIG gratuita e indennizzi, ha salvaguardato i contratti tipici, ma ha ulteriormente escluso giovani e donne.

La verità è che tutti i vincoli alla flessibilità del lavoro stanno portando ad ingessare, se non a paralizzare del tutto, il mercato del lavoro.
Il problema centrale sta, appunto, nel considerare il rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato unico e virtuoso modello di prestazione lavorativa. Le altre tipologie, che comunque implementano ed implementerebbero ulteriormente il numero degli occupati, sono rese di fatto sempre meno accessibili, perché ancora oggi la flessibilità è vissuta e considerata come sintomo di precarietà.

Il decreto Dignità, contemplando causali stringenti in termini di limiti e durata, che di fatto né si allineano né trovano riscontro nelle realtà aziendali, non ha sicuramente favorito l’occupazione. In questo periodo di mancata crescita economica, sarebbe più opportuno puntare sulla liberalizzazione dei contratti a termine (i.e., acausalità con eliminazione dei vincoli di durata).

Appare necessaria e urgente una seria riflessione ed è indifferibile un intervento di coraggio sulle molteplici rigidità che caratterizzano la disciplina del lavoro.



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