TRANSIZIONE ECOLOGIA E COESIONE SOCIALE

TRANSIZIONE ECOLOGIA E COESIONE SOCIALE

La Transition Town Theory

La teoria della transizione (TTT – Transition Town Theory) studia e trova soluzioni per la gestione del tempo necessario a una Società, che utilizza combustibili fossili, per passare all’utilizzo esclusivo di energie rinnovabili. Serve a preparare le comunità ad affrontare la doppia sfida del riscaldamento globale e della riduzione del consumo dei combustibili fossili, soprattutto di carbone e petrolio.

Alla base del modello di transizione ci sono logiche di coesione sociale e inclusione globale.
Nessuno può essere escluso dalla partecipazione al cambiamento sociale e dovrebbe essere pacificamente condiviso che la fine dell’era del petrolio a basso costo rappresenti un’opportunità e non una minaccia.

Ma siamo davvero pronti alla inclusione ecologica?

Il concetto di inclusione postula che «tutti abbiano il diritto di partecipare al benessere della collettività e nessuno debba essere escluso». L’inclusione inversa, invece, ha come assioma che «tutti hanno il dovere di partecipare al benessere della collettività, ma alcuni non vogliono» (dal primo postulato di Mauricio Merino, Messico – 1997).
La transizione ecologica pone dinanzi proprio a una inclusione inversa: chi gode di un tenore di vita più agiato si auto-esclude perché sente di avere più da perdere in termini di qualità del quotidiano.

La recente conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop26), che si è conclusa a Glasgow il 13 novembre 2021, ne prende atto.
Se, da una parte, la ventiseiesima edizione, per la prima volta sottoscritta da quasi duecento Paesi, espressamente fa leva sulla necessità di limitare l’impiego dei combustibili fossili; dall’altra, all’ultimo minuto, Cina e India hanno imposto la modifica del passaggio dell’intesa che prevedeva l’eliminazione dell’uso del carbone, sostituendolo con uno più generico a ridurlo.
A margine del vertice, inoltre, sono stati annunciati diversi accordi separati, come quello per la riduzione del 30% delle emissioni di metano entro il 2030, sottoscritto da oltre cento Paesi; quello per fermare la deforestazione entro la stessa data e quello per l’abbandono del carbone, firmato da quaranta Paesi.
Senza contare l’impegno espresso da Cina e Stati Uniti, le due Nazioni con le maggiori emissioni di gas serra al mondo, a cooperare nella lotta al cambiamento climatico.

Tante le buone intenzioni. Ma è cero che si è già in grave ritardo e che sono molti i Paesi non coinvolti.
Ci sono le premesse per un vero e proprio scontro generazionale. I giovanissimi, più sensibili alle problematiche ambientali, additano le generazioni precedenti, che non riescono a fare a meno di lussi e comodità.

Inoltre, le imposizioni dall’alto, in difetto di dialogo, non sono più convincenti. Si avverte l’esigenza di inclusione e partecipazione alle scelte decisionali.
Coinvolgere è un dovere per non fallire.
L’Italia parta da progetti inclusivi e partecipativi, che puntino alla coesione sociale, costruiti sulla cittadinanza attiva, sull’informazione e sul monitoraggio dell’opera o servizio che si vuole realizzare. Sollecitare le coscienze e condividere i problemi e le riflessioni sulle soluzioni riduce il fenomeno delle proteste e delle contestazioni (il caso dei no-TAV è soltanto quello più recente e più eclatante).
In Europa la progettazione partecipativa è un obbligo per avere i finanziamenti per i progetti di cooperazione internazionale.

Dopo fiumi di parole spese, di promesse fatte e di trattati e intese, sia il momento del coinvolgimento e della condivisione, della partecipazione alla vera transizione ecologica, già pensata e realizzata in tante piccole città da più di sedici anni. È un dovere verso le generazioni future, verso l’unico pianeta a disposizione e soprattutto verso la Civiltà.

Occorre anzitutto una migliore regolazione, che favorisca la progettazione partecipativa per tutti i progetti che coinvolgono più di 5 comuni o 2500 abitanti, sul modello di tante esperienze straniere.
L’inclusione ecologica e la coesione sociale non riguardino solo i grandi progetti, ma siano leva strategica per il cambiamento culturale e per uno stile di vita più sostenibile per noi, i nostri territori e per il pianeta
Le azioni virtuose, già applicate nelle città di transizione, le c.dd. Transition Town, vengano inserite nelle delibere comunali e regionali.

Così è possibile progettare un’era a bassa emissione di anidride carbonica, e conquistare un posto migliore in cui vivere.



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