VIA DALLE MARCHE. PERCHÉ?

VIA DALLE MARCHE. PERCHÉ?

Dal boom economico in poi, le Marche si erano conquistate l’appellativo di Svizzera d’Italia. Tale rosea situazione economica, che attraeva lavoratori anche da altre Regioni d’Italia, ebbe la sua prima flessione nel ‘94. La crisi proseguì nel decennio successivo e si stabilizzò con lo schiaffo economico del 2007-2008. Oggi i dati sui flussi migratori marchigiani parlano chiaro: è in atto uno spopolamento.

Secondo i dati Ires-Cgil, quasi il 10% dei marchigiani risiede all’estero, ovvero 148 mila persone, su un totale di 1,5 milioni. La quota più importante è rappresentata dai giovani, che lasciano la Regione spesso per motivi di studio, per poi non tornare più nel territorio di origine.

In provincia di Ascoli, sono 20mila quelli compresi tra i 18 e i 24 anni. In quella di Fermo, i residenti all’estero sono 17mila, ad Ancona 39mila, a Pesaro 24mila, a Macerata 49mila. Le Marche hanno perso 28mila cittadini negli ultimi 5 anni. Il saldo demografico è negativo di oltre 32 mila abitanti nell’anno 2019.

Un altro dato preoccupante è quello riguardante i cosiddetti neet, ossia quei ragazzi compresi tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non fanno formazione. Se ne contano 40.000 attualmente.

Bisogna chiedersi quali siano le radici di questo fenomeno oramai radicato. Sono d’altronde radici profonde e diramate, che hanno come sintomo l’alta disoccupazione che si registra nella Regione negli ultimi anni. Il tasso di disoccupazione tra i giovani di 20-24 anni ha raggiunto l’anno scorso il 22%. L’esperienza pandemica di quest’anno non farà che aggravare la situazione, ma non ne sarà certamente la causa prima. Lo spopolamento della Regione ha cause più lontane, cui si aggiungeranno gli effetti economici della crisi sanitaria.

La forza economica della Regione Marche risiedeva, fino a pochi anni or sono, nella piccola e media impresa, nelle capacità artigiane e imprenditoriali di impianto sovente famiglistico. Con la crisi economica e finanziaria, le imprese marchigiane non hanno saputo reagire efficacemente alle difficoltà, non hanno saputo gestire la crisi, non hanno saputo inserire dirigenti capaci di apportare innovazione. Intanto, molte imprese hanno delocalizzato la produzione laddove la manodopera costava meno. Il territorio si è lentamente svuotato e niente di nuovo e di diverso è stato proposto al suo posto. Ciò che è venuta a mancare è una visione di futuro capace di rispondere ai tempi che stavano mutando, sia da parte della politica sia da parte degli imprenditori.

Parallelamente, il sistema accademico non è affatto cresciuto e si è verificato un totale scollamento tra formazione e offerta di lavoro. D’altronde, le Marche si contraddistinguono per un’organizzazione universitaria diffusa, ma ridotte eccellenze. Molti giovani si formano nelle Marche, ma sono poi costretti a lasciare la Regione, data l’assenza di un terreno lavorativo in linea coi loro studi.

La situazione così descritta mostra uno scenario preoccupante, che potrebbe condurre al facile disfattismo e alla altrettanto facile disillusione. Tuttavia, i punti di forza delle Marche restano molteplici: su questi bisogna porre l’attenzione e da questi bisogna ripartire.

Tra questi, le Marche hanno un grande patrimonio di borghi, di artigianato locale e prodotti tipici da valorizzare. La laboriosità e la creatività marchigiane dovranno trovare altri canali di sfogo, che il solo turismo naturalistico ed enogastronomico non può fornire, ma può contribuire ad alimentare.



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