Didattica inclusiva e speciale

Didattica inclusiva e speciale

Per una vera equità sociale

Secondo definizione, l’inclusione sociale è un processo volto a garantire la piena e attiva partecipazione alla vita economica, sociale e culturale del Paese e a riconoscere e tutelare i diritti anche dei cittadini con disAbilità.
In tale prospettiva ogni intervento dello Stato deve avere come finalità l’eliminazione delle discriminazioni derivanti dalla condizione di diversa abilità e la promozione di azioni volte alla tutela del diritto all’uguaglianza nella diversità, concepito come parità di opportunità.
L’integrazione non basta, serve procurare a tutti le stesse possibilità di essere, fare e desiderare; l’inclusione offre la possibilità a tutti di essere cittadini e cittadine a tutti gli effetti.
Vivere in una società inclusiva significa sentirsi accolti e messi nelle condizioni di essere membri effettivi ed attivi della società di cui, altrimenti, si rimarrebbe ai margini.

La scuola, in particolare, ricopre un ruolo fondamentale nella diffusione e nella promozione dei valori e della cultura dell’inclusione, per superare quella tendenza, quegli atteggiamenti e quei comportamenti che portano alla ingiustificata distinzione, e puntare invece alla creazione di ambienti favorevoli, accoglienti e facilitanti in cui le diversità fisiche, biologiche, fisiologiche ma anche psicologiche, sociali ed economiche rappresentino una fonte inesauribile di arricchimento e di apprendimento, di confronto e di dialogo.
La scuola che include è quella che promuove la partecipazione di tutti, che sviluppa senso di appartenenza, che dà voce, ascolta e rispetta, che progetta al fine di garantire il successo scolastico e formativo, valorizzando e mettendo al centro dell’azione educativa e didattica tutte le diversità e le differenze.

Il concetto di inclusione scolastica è frutto di un lungo percorso di conquista, che passa dalla fase dell’esclusione, della separazione, dell’inserimento, dell’integrazione per arrivare, infine, a quella dell’inclusione. Tale concetto viene adottato in Italia negli anni ’90, con l’obiettivo di promuovere il valore della diversità, per cui l’interazione tra individui diviene momento di crescita ed arricchimento personale e del gruppo, al di là della disabilità o di condizioni economiche svantaggiate.
Così didattica speciale si inserisce laddove il percorso educativo sia ostacolato da deficit personali o da condizioni di svantaggio sociale. Occorre sempre saper individuare i bisogni educativi particolari di ciascun alunno per predisporre le azioni mirate a promuovere le capacità e lo sviluppo umano facendo maturare delle comunità capaci di dare risposte ai bisogni di tutti gli alunni. È importante una didattica personalizzata caratterizzata dall’utilizzo di metodologie e strategie tali da promuovere le potenzialità, il successo formativo e l’apprendimento significativo, considerando i diversi stili di apprendimento, i livelli raggiunti (valutazione diagnostica e formativa), l’ampia pluralità di bisogni, necessità individuali e interessi, più o meno manifeste e variegate.

La didattica inclusiva deve essere intesa perciò come una tappa del processo necessario di trasformazione dell’ambiente educativo che coinvolge e favorisce l’intera comunità scolastica, non solamente l’alunno con determinati bisogni.

Primo e fondamentale momento dell’evoluzione legislativa in tal senso, è sicuramente la l. n. 517 del 1977, con la quale sono state abolite le classi differenziali per gli “alunni svantaggiati” consentendo a tutti di accedere alle scuole elementari e alle scuole medie inferiori. Inoltre, tale legge ha introdotto gli strumenti necessari a garantire l’accesso all’istruzione anche agli studenti disabili (insegnanti di sostegno specializzati, numeri di alunni per classe non superiore a venti, ecc.).

La l. quadro n. 104 del 1992 (poi integrata dalla l. n. 17 del 1999) riconosce il diritto all’istruzione e all’educazione nelle sezioni e classi comuni per tutte le persone “in situazione handicap”, precisando che “l’esercizio di tale diritto non può essere impedito da difficoltà di apprendimento, né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap”.

Nel 2009 il Miur ha diffuso le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disAbilità.
Una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che, nel contesto socio-culturale di riferimento, possono causare disabilità.
Si stabiliscono due concetti fondamentali: l’accettazione delle diversità presentate dagli alunni disAbili come fonte di arricchimento e l’importanza di prestare attenzione ai bisogni di ciascuno, non solamente quindi alle esigenze degli alunni affetti da particolari necessità.

Successivamente sono state approvate:
– la l. n. 170 del 2010, “Nuove norme in materia di disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) in ambito scolastico”;
– la direttiva BES del 2012, che ha definito criteri didattici inclusivi per tutti quegli studenti che presentano difficoltà dovute a cause socio-ambientali, culturali o familiari;
– la l. n. 134 del 2015, prima legge nazionale dedicata esclusivamente all’Autismo;
– il decreto inclusione n. 96 del 2019, che ha introdotto importanti modifiche consolidando e approfondendo la scelta per la personalizzazione della didattica, viene dato maggior peso al ruolo delle famiglie e viene definito un modello di PEI (Piano educativo individualizzato), che sarà, con DI 182/2020, unico per tutte le scuole, diversificato per ordine e grado e redatto su base ICF nella prospettiva bio-psico-sociale (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute).

Sul piano legislativo, insomma, sono stati fatti importanti passi avanti, ma sul piano culturale c’è ancora tantissima strada da percorrere.
Quello della disAbilità è ancora oggi un tema difficile da affrontare. Non è vista come un valore in cui potersi riconoscere ma come un difetto da mascherare, da capire, e, nella migliore, da accettare.

Molti problemi della disAbilità emergono proprio nell’età scolastica, quando è più evidente la diversità, la alterità rispetto a ciò che la società considera ‘normale’. Più la anormalità viene evidenziata, messa sotto i riflettori, più si tende a ridicolizzarla. Ecco perché è invece fondamentale educare riconoscendo le differenze e le difficoltà individuali (quindi non negandole) e rispettandole.

La disAbilità è un prodotto sociale.
Siamo noi, con i nostri comportamenti, a fare in modo che le vite di alcuni siano più complicate di altre.

Le stesse parole che usiamo spesso finiscono per alimentare pregiudizi e discriminazione perché mettono l’accento su una presunta diversità e, così, si alzano muri e barriere che, invece, proprio il linguaggio potrebbe e dovrebbe avere la forza di abbattere.
Se la parola ‘abilità’ indica la “capacità di svolgere una particolare forma di attività che è frutto della volontà, anche se può svilupparsi sul fondamento di una disposizione innata”, la parola ‘abilismo’ è propria di una visione altamente discriminatoria e pregiudizialmente svalutativa delle persone con disabilità. Il presupposto è che alcune abilità abbiano più valore rispetto ad altre e questo ha permesso la costruzione di una realtà piena di barriere, anche architettoniche.
Magari pensando, in buona fede, di ricorrere a una terminologia rispettosa e corretta adoperiamo parole come “non vedente” o “affetto da disabilità”, finendo però col mettere l’accento su una “presunta diversità”.

“Solo quando la disabilità non farà più notizia avremo davvero raggiunto l’inclusione”
[Nadia Lauricella]

 

 

 

 

FONTI

Inclusione ed integrazione due termini differenti

La differenza tra integrazione e inclusione


https://www.enelcuore.it/tematiche-sociali/articles/2021/11/inclusione-sociale
https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/medicina-e-ricerca/2022-12-15/un-progetto-cambiare-paradigmi-culturali-disabilita-100653.php?uuid=AEfHDRPC&refresh_ce=1



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