PER UNA RIFORMA COMPLESSIVA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA

PER UNA RIFORMA COMPLESSIVA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA

Al netto dell’emergenza

L’emergenza sanitaria dell’ultimo anno non ha fatto altro che mostrare in maniera più evidente i punti critici dell’intero sistema della giustizia tributaria, che merita riforme nell’interesse sia del contribuente sia dell’economia pubblica. Con maggior favore per i principi di collaborazione e buona fede, necessariamente alla base di ogni rapporto di natura tributaria.

In primis, ci si riferisce al presidio di legalità rappresentato dalle dinamiche di giustizia.

Gradi processuali a velocità nettamente diverse, dinamiche di contraddittorio influenzate da una norma discutibile come quella del d.l. n. 137 del 2020, contributi unificati sproporzionati rispetto all’accesso giudiziale, composizioni collegiali ancorate alle logiche normativo-politiche degli anni novanta, quando le competenze scarseggiavano e non c’era ancora una educazione sistemica rispetto al tema della trasparenza, dell’imparzialità amministrativa, etc.

Sono soltanto alcune delle problematiche più urgenti da risolvere, ma c’è tanto altro su cui soffermarsi per migliorare il sistema.

Emblematico è, ad esempio, l’art. 27, comma 2, d.l. n. 137 del 2020, il quale introduce l’istituto delle memorie conclusionali unitamente alle consequenziali repliche nel processo tributario, strumento, quest’ultimo, tipico del sistema processuale civilistico.
La disposizione, varata d’urgenza dall’esecutivo in carica ad ottobre scorso, pone all’evidenza giuridica una questione fondamentale da prendere in considerazione: la differenza strutturale, a livello genetico-giuridico, tra processo tributario e processo civile.
Il primo è un procedimento tipicamente impugnatorio, nel quale è oltretutto vietata la prova testimoniale, per cui il confronto in presenza fra difensori e giudici assume un rilievo imprescindibile per la corretta analisi delle cause e per poter consentire al collegio di formare il proprio convincimento, dando la possibilità alle difese di approfondire i motivi di ricorso e/o di chiarire eventuali passaggi che siano rimasti oscuri.
Dagli anni novanta sino ad oggi il processo tributario ha subito diverse modifiche, ma il più delle volte non legate ad una vera e propria visione di sistema utile a:
– conformarlo ai principi della Costituzione italiana e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo;
– garantire un rapporto di imparzialità effettivo tra contribuente e fisco;
– estendere al processo tributario i principi della trasparenza amministrativa di cui alla Legge n. 241/90, che all’art. 13 ne fa riserva di esclusione;
– rendere il sistema della giustizia tributaria realmente indipendente dal Mef, al quale oggi fanno capo le segreterie organizzative e tutte le Commissioni Tributarie di merito.
Da qui, la situazione di sostanziale disordine alla quale occorre porre rimedio.
D’altronde, al netto delle disquisizioni dottrinarie e giurisprudenziali, c’è di fatto un dualismo esasperato circa l’afferenza dell’ambito tributario a quello civilistico o a quello amministrativo: infatti il sistema della giustizia tributaria, in quanto tale, non è previsto nella categorizzazione costituzionale, che, peraltro, vieta l’istituzione di tribunali speciali.

Altro tema rilevante è quello della perimetrazione della giustizia tributaria.
Infatti sin dalle famose riforme ex d.l. n. 46 del 1999 e d.l. n. 112 del 1999, si è cercato di fare graniticamente chiarezza sulla questione della competenza giudiziale tra il giudice ordinario ed il giudicante tributario in ordine ai pignoramenti esattoriali speciali di cui agli artt. 72 bis ss. d.P.R. n. 602 del 1973.
Specificamente parlando, non può non tenersi conto, posta la questione legata a quanto appena illustrato, della decisione della Corte costituzionale n. 114 del 2018 con la quale si è posto finalmente riparo alla violazione sistematica (oltreché sistemica) dei più basilari elementi di diritto di difesa del cittadino (ad esempio, artt. 3, 24, 111 Cost.), con l’abrogazione dell’art. 57 dello stesso d.P.R. n. 602 del 1973, che vietava le opposizioni all’esecuzione tributaria (salvo rare eccezioni) ai malcapitati contribuenti italiani.

Inoltre, a maggior ragione durante l’epoca Covid, ci si dovrebbe soffermare un attimo a considerare una grave lacuna legislativa: la non revisione (e/o quantomeno sospensione) del gettito da c.dd. contributi unificati di causa.
Se la motivazione logico normativa della spesa di giustizia tributaria anticipata è la modalità a ‘contributo’, allora non c’è ragione che tenga a mantenere in vita quanto ancora d’obbligo perciò, di fatto, contrario rispetto al dettato costituzionale di cui all’art. 53 (secondo il quale «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività»).

Senza trascurare, poi, il vuoto normativo (sul piano almeno dell’interpretazione autentica) riguardante quel che attiene ai c.dd. casi-ricorso al buio dei contribuenti od anche a seguito, appunto, di azione esattoriale cumulativa (cioè a più cartelle, ruoli, ingiunzioni fiscali e/o accertamenti esecutivi ex art. 29 d.l. n. 78 del 2010): gli uffici dell’amministrazione finanziaria e della direzione della giustizia amministrativa chiedono il pagamento del contributo unificato per valore di singola cartella (così in piena sperequazione) e non già per valore complessivo dell’ammontare impugnato-opposto.

Su questo fronte del rapporto fisco-contribuente i cittadini vivono duramente, ormai, un’assoluta disparità di trattamento.

Non può non aggiungersi l’atavica situazione della composizione delle commissioni tributarie. Al netto della qualità umana e magistratuale del singolo membro di Collegio, c’è indifferibilmente da intervenire almeno su due fronti:
– evitare che chi ricopre l’ufficio di magistrato assegnato al Pm possa, al contempo, essere giudicante in sede tributaria (attesa la inconciliabile mentalità dualistica e formativa delle carriere della magistratura, ma ancor di più vista l’incompatibilità emergente dall’esistenza del doppio binario fra processo tributario e processo penal-tributario);
– evitare che chi eserciti professioni tecniche non formate alle regole processuali e sostanziali del diritto (anche per assenza di studio in sede accademica o di altro genere) si ritrovi ad essere parte integrante del sistema collegiale tributario giudicante (es. agronomi, geometri, commercialisti non specializzati in tecnica processuale, ecc., anche se pure per gli avvocati non specializzati si dovrebbe fare doveroso approfondimento in tal direzione).

Questioni, quelle sin qui riportate, di chiaro segno delicato, che andrebbero valutate con urgenza riformatrice al netto della pandemia; ne va dell’efficienza del sistema-Paese, delle competenze dei singoli, dei sacrifici di coloro che investono nella vita professionale, della dignità dei giudici stessi, ma soprattutto dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione nei confronti dei cittadini.
Principi, tutti, al centro dell’impianto democratico-costituzionale italiano.



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