PER UNA RIFORMA DELLE REGOLE SULLA CONFISCA

PER UNA RIFORMA DELLE REGOLE SULLA CONFISCA

Contro il sopravvento del giustizialismo

L’apparato di regole tributarie in vigore risulta poco organico, eccessivamente complesso e, dunque, di difficile attuazione.
Tante le lacune e molti i dubbi interpretativi che aprono ad abusi, elusioni ed illeciti risparmi d’imposta.
Una definizione univoca di ‘evasione fiscale’, peraltro, non esiste; se ne parla soltanto all’art. 1, d.lg. n. 74 del 2000, dove è possibile leggere «fine di evadere le imposte» e «imposta evasa». L’espressione racchiude in sé un insieme di condotte dei contribuenti infedeli, intese ad evadere le imposte, trasgredendo le norme di legge in vigore e dichiarando imponibili minori rispetto a quelli effettivamente corrispondenti alla propria capacità contributiva.

La lotta all’evasione fiscale porta a recuperi d’imposta ancora insufficienti rispetto a un volume stimato, nella Relazione Nadef 2020, in circa 95 miliardi di imposte evase all’anno.
Ovviamente occorre distinguere le condotte più gravi, ovvero la patologia delle frodi fiscali organizzate, da quelle meno rilevanti, come ad esempio le evasioni ‘fisiologiche’ e connesse all’andamento economico generale del Paese.
La distinzione di gravità delle condotte è determinata sulla base del d.lg. n. 74 del 2000, che prevede le fattispecie e le soglie di imposte evase che rendono punibile penalmente il comportamento, anche se solo in via presuntiva, costituendo così il sistema dei reati tributari.

In caso di violazione di norme, e dunque di reato tributario, uno degli strumenti più efficaci e a maggiore forza deterrente che la magistratura può utilizzare è quello della confisca dei beni.
Si tratta di una misura patrimoniale, regolata dagli artt. 240 bis c.p. e 321 c.p.p. e consistente nella sottrazione di beni di proprietà del condannato per un reato specifico, secondo un elenco tassativo.
La confisca diretta o per equivalente, già applicata anche nell’ambito dei reati fiscali da oltre un decennio, è stata inserita nel d.lg. n. 74 del 2000 solo nel 2015 con l’art. 12 bis, al quale nel 2019 è stato aggiunto l’art. 12 ter, che prevede casi specifici.
Per intendersi, se un soggetto viene condannato per uno dei reati fiscali, ovvero quelli previsti al d.lg. n. 74 del 2000, verranno sottratti dal suo patrimonio i beni che rappresentino il prezzo o il profitto del reato.
Qualora non si possa risalire specificatamente ai beni oggetto del reato, potranno essere sottratti beni dei quali il condannato abbia anche solo la disponibilità fino ad ammontare ‘equivalente’ al prezzo o profitto del reato.

La misura è per certo invasiva, ancor più in considerazione del fatto che il sequestro può avvenire già solo in fase di indagini preliminari, per cui anche molto tempo prima della condanna definitiva.
In concreto, un soggetto può vedersi sequestrare l’intero patrimonio per indizi di reato che possono essere suffragati solo in fase processuale, e può vedere ‘bloccato’ il proprio patrimonio e la propria impresa per diversi anni, per poi magari ottenere un’assoluzione all’esito del giudizio, ed a quel punto rientrare in possesso di un patrimonio ormai depauperato e privato del proprio valore originario.

In prospettiva di riforma, lo strumento merita importanti correttivi.

Per contenere il rischio di danno ingiusto e di mortificazione della dignità dell’indagato, innocente fino a condanna, evitando ogni pericoloso e inaccettabile giustizialismo fiscale, si è prospettato, in modifica dell’art. 321 c.p.p., un elenco di beni che dovrebbero restare fuori da ogni ipotesi di sequestro e/o confisca, quali ad esempio quelli indispensabili all’economia della casa, la prima casa, vestiario, cibo, quanto utile all’esercizio di arti e professioni, animali da compagnia.
Insomma tutto ciò che è strettamente collegato alla vita dell’imputato e dei propri conviventi.

Ancora più invasiva è la confisca per sproporzione: il condannato, ma ancor prima addirittura l’indagato, è chiamato a giustificare l’accumulo di ricchezza del proprio patrimonio incongruente (rectius, sproporzionato) rispetto alle dichiarazioni dei redditi presentate; ove il giudice ritenga non veritiere le giustificazioni riportate, potrà disporre la confisca di tutto quanto non idoneamente giustificato.
La gravità dell’applicazione di tale misura consiste nel fatto che il giudice non è obbligato a valutare i tempi di acquisto o la decorrenza del possesso dei beni, che potrebbero essere anche antecedenti alla commissione dei reati.
Tanto meno il giudice è obbligato a ricercare un nesso causale tra la commissione del reato e l’acquisizione del bene, essendo posto un unico limite, dalla Corte costituzionale, nel concetto di «ragionevolezza temporale».

Tale tipologia di confisca, già in una fase preliminare, espone astrattamente tutti i beni in possesso del contribuente alla misura ablativa, con la conseguenza che una proliferazione di sequestri diretti alla confisca ex art. 12 ter sottopone il contribuente a misure eccessivamente afflittive.

Una revisione delle disposizioni richiamate è doverosa.

La normativa vigente, così come disciplinata dal d.l. n. 124 del 2019, va rivista nel verso di una più aspra lotta all’evasione fiscale, ma senza pregiudizio per il senso della giustizia, i diritti dei contribuenti e la proporzione tra offesa e pena.



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