CARCERE E DIGNITA’

CARCERE E DIGNITA’

Tra punizione, rieducazione e diritti umani

Quando si parla di carcere ed esecuzione di misure o pene detentive, non si sfugge all’annoso e oggi particolarmente avvertito problema del sovraffollamento carcerario.

La patologia ha radici lontane nel tempo; la pandemia ha soltanto contribuito a riportare l’emergenza agli onori di una triste cronaca. Con riscontro emotivo diverso sia da parte della politica che dei cittadini.

Basti pensare che già a marzo 2019 la popolazione carceraria ammontava a 60.611 unità, contro 50.514 posti disponibili.
A fine febbraio 2020, la situazione era analoga a quella dell’anno precedente, con un tasso di sovraffollamento ufficiale superiore al 120%.

Eppure l’Italia era già stata condannata dalla Corte EDU, una prima volta con la sentenza Sulejmanovic nel 2009 ed una seconda nel 2013 con la sentenza Torreggiani. In entrambi i casi alcuni detenuti si erano rivolti alla Corte Europea dei Diritti Umani lamentando la violazione dell’art. 3 della Convenzione EDU, che vieta la sottoposizione “a tortura ovvero a pene o trattamenti inumani o degradanti”, e denunciando una insufficienza dello spazio vitale a disposizione.
Condivisione di celle anguste con altri detenuti, carenza di servizi igienici e sanitari, di personale medico ed educativo, e vetustà delle strutture carcerarie, del tutto inadeguate a garantire la dignità dell’individuo in base al predetto accordo sovranazionale, ma anche il principio rieducativo e di umanità della pena di cui all’art. 27 cost.
In entrambe le occasioni, la Corte rilevava la gravità del problema, di carattere strutturale e sistemico e bisognoso di interventi sia preventivi che compensativi.

Dall’epoca qualcosa è cambiato, ma le stime dell’occupazione delle carceri ante crisi sanitaria evidenziano che l’obiettivo di restituire alla pena la sua propria funzione, quale strumento di recupero e di rieducazione, verso il completo reinserimento sociale del condannato, è ancora distante dall’essere traguardato.

Gli affanni procurati dall’emergenza hanno portato maggiore sensibilità sul tema. Il tentativo di venire incontro alle difficoltà, anche sollecitato da rivolte e manifestazioni non pacifiche del disagio, si è tradotto in politiche deflattive da parte della magistratura di sorveglianza, che conscia, della gravità della situazione, ha utilizzato in maniera ampia, ma in assoluta conformità al dettato normativo, i propri poteri per permettere al maggior numero dei detenuti che ne avevano diritto di scontare l’ultima parte della loro pena detentiva in regime di detenzione domiciliare.

Il percorso è tracciato. E’ da perseguire la via del giusto equilibrio tra le esigenze punitive dello Stato e quelle rieducative e risocializzanti della pena.

Per dare concretezza al proposito, è necessario

– anzitutto programmare, ed eseguire, investimenti cospicui sia nell’edilizia carceraria, ristrutturando gli edifici esistenti, riconvertendo in istituti di pena edifici dismessi già adibiti ad altre funzioni, e realizzando nuovi immobili all’uopo destinati, sia nell’assunzione e nella formazione del personale, militare e civile, operante all’interno delle strutture;

– operare seria riforma dell’ordinamento penitenziario, calibrata sul proposito di recupero del detenuto, nel rispetto dell’art. 27 cost. e della Convenzione EDU, riaffidando centralità alla persona, da rieducare alla legalità e da reinserire socialmente al termine del percorso detentivo;

– un intervento incisivo sulle misure alternative alla detenzione, ampliandone l’ambito di applicazione e soprattutto, al fine di renderle concretamente efficaci, rafforzando le strutture territoriali di sostegno e controllo, dagli Uffici Esecuzioni Penali distrettuali, ai Servizi Sociali, alle Forze dell’Ordine;

riassegnare effettività alla ‘presunzione di innocenza’, importante principio di civiltà, che, fatta salva la sussistenza dei presupposti richiesti dal Codice di rito, rende la misura cautelare custodiale in carcere (applicata, quindi, durante il corso del procedimento penale in assenza di condanna passata in giudicato) l’extrema ratio, alla quale far ricorso solo ed esclusivamente nei casi in cui non siano effettivamente possibili altre soluzioni meno afflittive;

riadeguare il sistema delle misure cautelari alle concrete esigenze di prevenzione e di giustizia, sgomberando il campo da pericolose derive.

La dignità dell’uomo deve essere tutelata e preservata in ogni circostanza.

Di CARMEN BONSIGNORE
(con la collaborazione di PAOLO LA BOLLITA, EMANUELE FLORINDI e GIANLUCA PIZZUTI)

 

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